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E' la prima monografia critica su Emina Dante, autrice-regista contemporanea, fondatrice nel 1999 della Compagnia Sud Costa Occidentale a Palermo, ma già molto affermata sul piano nazionale e soprattutto internazionale.
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La prospettiva della "lingua teatrale" implica un doppio sguardo, sui testi e sugli spettacoli della sua "Trilogia della famiglia siciliana" (mPalermu, Carnezzeria, Vita mia), nucleo assodato per omogeneità e per riconoscimenti. Lingua anche come polifonia variabile di dialetto e italiano, elaborata per e attraverso la scena, a partire dai corpi e dalle voci degli attori-personaggi, dal luogo di formazione e d'incontro con gli spettatori. È un libro doublé face; incorniciato da una premessa storico-semantica, che ricongiunge il caso Emma Dante ai precedenti paradossi artistici dei siciliani (da Verga a Sciascia, da Piran-dello a Joppolo), e dai percorsi biografico-artistici di questa autrice del 2000, nata e ritentata dall'attorialità. Può essere letto anche a rovescio: il racconto degli spettacoli, nel cui spazio visivo e sonoro il fenomeno teatrale si realizza, consente di rivisitare per continui richiami la drammaturgia "mobile" dei testi, mediante il confronto fra edizioni a caldo, copioni e riscritture per la stampa. L'indagine affronta le relazioni pericolose fra oralità, scrittura e immaginazione, perciò le due parti centrali del saggio si integrano o si rispecchiano a vicenda. Così come l'appartenenza del lavoro della Dante e del suo gruppo al contemporaneo teatro di ricerca svela la necessità di rapporti radicati, ed estremi, con la tradizione del Sud e della Sicilia, attraverso le metamorfosi che la nostra epoca impone a tematiche antropologiche e archetipiche.