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Biblioteca Civica di Biella

Heptameron di Margherita d’Angoulême

Questo piccolo libro in ottavo edito nel 1914 (acquistato dalla Biblioteca proprio nello stesso anno), con rilegatura in simil pergamena, cela la prima traduzione italiana della raccolta di novelle scritte da Margherita d’Angoulême (1492-1549), sorella del re di Francia Francesco I, principessa d’Angoulême e poi regina di Navarra grazie alle seconde nozze con Henri d’Albret. Cresciuta con una solida educazione, conoscitrice di sette lingue, tra cui l’italiano, a corte seppe distinguersi per il suo amore per la cultura e per la poesia, e per la promozione dell’attività intellettuale sullo stile delle grandi corti rinascimentali italiane. Scrisse poesie, di stampo autobiografico e religioso per lo più, ma è ricordata soprattutto per l’ Heptaméron, raccolta di novelle che rimase per anni in forma manoscritta, fino ad essere stampata postuma per la prima volta nel 1558.

 

Considerata tra le opere più importanti del Cinquecento francese, l’opera prende a modello il Decameron di Boccaccio, con un gruppo di persone che, bloccate in un’abbazia dei Pirenei, decide di passare il tempo raccontandosi storie. Margherita morì prima di completare l’opera, arrivando a 72 delle 100 novelle previste e fermandosi a sette giornate (da cui il titolo, formato dalle parole greche “sette e giorno”). Lo stampo umoristico, amoroso e moraleggiante delle storie fece sì che se ne interessasse l’editore e scrittore Angelo Fortunato Formiggini (1874-1928), pioniere del genere umoristico nell’editoria italiana grazie alla fondazione nel 1912 della fortunata collana “I classici del ridere”. Formiggini creò la collana con l’intenzione di proporre libri “per ridere” a prezzi popolari, ma che comunque fossero di pregiata fattura artigianale, e l’esemplare posseduto dalla Biblioteca corrisponde a tutti i crismi: è infatti corredato dalle incisioni di Sigmund Freudenberger, incisore e pittore svizzero del XVII secolo. Tutte le copertine della collana presentano un fregio in copertina realizzato da Adolfo de Carolis, significativa figura dell’idealismo e del simbolismo italiano. In prima di copertina, parte del motto della collana, “Amor et labor vitast”, che poi prosegue in quarta di copertina con “risus quoque vitast”: un motto che racchiude la filosofia di vita di Formiggini, cultore dell’umorismo e di tutto ciò che fa ridere, visti come strumenti di fratellanza

 

La risata di questo editore per passione, ultimo esponente di un’antica dinastia ebrea modenese, fu stroncata dal suo suicidio a seguito dell’introduzione delle leggi razziali: Formiggini si gettò dalla Ghirlandina, la torre del duomo di Modena, il 29 novembre 1928, riempiendosi le tasche di soldi in modo da non dare adito a giudizi fuorvianti sul motivo dell’estremo gesto (la sua casa editrice era in grandi difficoltà). Queste le sue parole nella lettera d’addio: «La vita non vale più nulla se non si può lavorare, se non si può più amare ed essere amati e se, a tradimento, con una pugnalata nella schiena, ti hanno agghiacciato in cuore la polla viva della serena allegrezza. Amor et labor vitast. Risus quoque vitast». Il motto in latino continua a vivere nelle copertine de “I classici del ridere”, principiata con la prima giornata del Decameron di Boccaccio, cui si lega idealmente il numero 15 della collana: le novelle della “Boccaccio” francese, la regina Margherita.

 

Irene Fulcheri